di don Luca Mazzinghi
Il Papa si dimette! Questa notizia ha suscitato nei cristiani una reazione di meraviglia e persino di sconcerto; nessuno se lo aspettava, neppure i cardinali più vicini a lui. Come è possibile? E’ la seconda volta che accade nella storia, ma il caso di Celestino V è stato ben diverso; costretto a dimettersi in circostanze mai del tutto chiarite, quel Celestino V che poi è stato canonizzato e riposa ora a L’Aquila.
A questo riguardo, un gesto profetico, passato inosservato: durante la sua recente visita in quella città, Benedetto XVI ha lasciato il suo “pallio” (il nastro di lana bianca, segno del potere arcivescovile, che ogni arcivescovo e il papa stesso portano al collo) sulla tomba di Celestino; un gesto che solo ora diventa chiaro. Si diceva che Benedetto XVI è incapace di grandi gesti come Giovanni Paolo II; con questo suo gesto storico egli ha smentito tutti.
Che aggiungere ancora allo scarno messaggio di Benedetto XVI e al diluvio di commenti che circolano in questi momenti convulsi? E tuttavia, come parroco, e dunque anch’io come pastore della chiesa, sento il dovere di dire una parola ai miei parrocchiani, senza alcuna pretesa e con un certo ritegno, alla luce del Vangelo, di fronte a una situazione che si presenta unica in duemila anni di storia – e la chiesa ne ha viste tante! – e che può suscitare riflessioni contrastanti, superficiali e persino malevole e fuorvianti, sia dentro che fuori la chiesa.
Il pontificato di Benedetto XVI non è stato facile e non è questo il momento per un giudizio; egli stesso si è accorto di non essere capito e seguito, ha sofferto per aver trovato nella chiesa resistenze inattese e problemi gravissimi e lo ha in diverse occasioni pubblicamente ammesso, non senza sofferenza (si ricordi la mancata riconciliazione con i tradizionalisti, che hanno rifiutato la mano che lui voleva loro tendere, non senza qualche ambiguità, il vero e proprio bubbone della pedofilia e la lettera ai cattolici irlandesi di fronte al tradimento di un intero episcopato che aveva coperto decenni di abusi, veri e propri atti di spionaggio compiuti nel cuore stesso del Vaticano, il caso dello IOR…).
I posteri diranno se questi e molti altri problemi irrisolti sono la vera causa delle sue dimissioni; ma di là di ciò che ognuno pensa della persona di papa Benedetto, il gesto realmente straordinario che egli ha compiuto e le parole scarne e chiare con le quali lo ha accompagnato (vedi sopra), spazzano via in sol colpo ogni tentativo di giudizio su di lui, e ci lasciano, io credo, almeno tre lezioni di capitale importanza; soprattutto ci costringono – costringono in realtà l’intera chiesa cattolica – a una radicale riflessione, alla luce del Vangelo.
Prima di tutto, papa Benedetto ci lascia una lezione di onestà, di coerenza e di responsabilità politiche – nel senso più nobile di questo termine; chi ha ricevuto un incarico – perché anche per il Papa di questo si tratta – deve sempre chiedersi se è in grado di svolgerlo al meglio; ne è infatti responsabile, e l’onestà consiste nel riconoscere di non essere più in grado di sostenere l’incarico ricevuto. Papa Benedetto parla di forze fisiche e interiori che in lui sono diminuite; si presenta a noi nella sua umanità, e con estrema semplicità. E’ poi assolutamente coerente con quanto lui stesso aveva già dichiarato nel 2010, circa la necessità che un uomo di chiesa – cominciando proprio dal Papa – si dimetta dal suo incarico quando le forze non consentono più di svolgerlo. Non si tratta di restare in trincea a tutti i costi come fossimo soldati che difendono la loro posizione; men che meno si tratta di aggrapparsi a vita alla propria poltrona; si tratta piuttosto di servire, appunto con responsabilità, onestà e coerenza; è questa la prima lezione di papa Benedetto, e che lezione!
E all’interno di questa lezione ne scopriamo una seconda: una lezione di umiltà, ma insieme di coraggio e di grande libertà interiore. Ci vuole tanta umiltà, infatti, per riconoscere di non essere più all’altezza di un incarico così grande; e tanto, tanto coraggio, che nasce da una profonda libertà. Tutto questo cambierà radicalmente il modo in cui la chiesa cattolica concepisce il papato; non è importante la persona del Papa in sé, ma il ruolo che la persona ricopre; il Papa è un essere umano come tutti noi («àlzati, anche io sono un uomo!», dice Pietro al centurione Cornelio: Atti 10,26), con la sua forza e la sua debolezza; è un uomo capace di chiedere perdono per i propri difetti (v. ancora sopra). Il coraggio dell’umiltà dimostrata da Benedetto XVI permette a Dio di parlare con più forza alla sua chiesa. Il Papa, da solo, non è la chiesa, e Benedetto ce lo sta dimostrando coi fatti.
Ma c’è una terza e più importante lezione da trarre, ed è una lezione di fede; per noi cattolici, la chiesa non è un club di amici; non è un partito politico; non è un’associazione di volontariato; non è un luogo ove si celebrano dei bei riti religiosi che ci fanno sentire a posto con noi stessi, prima che con Dio, e neppure è un gruppo settario di persone che si ritengono perfette e migliori degli altri. La chiesa è piuttosto una comunità di uomini e donne di pari dignità, nate da un semplice gesto che noi chiamiamo “battesimo”, un popolo convocato da Dio stesso perché sia nel mondo “sacramento”, cioè segno e strumento della sua presenza tra gli uomini; la chiesa è da un lato opera umana, certo, ma più profondamente è opera dello Spirito, e dallo Spirito di Dio la chiesa è guidata. Se da un lato sono le persone concrete, con tutto il loro carico di umanità, a fare la chiesa, la chiesa esiste perché esiste Dio. E nella misura in cui i membri della chiesa ascoltano e seguono il Signore, la chiesa cresce e si rinnova. Credo che senza questa visione di fede, ogni giudizio sulle dimissioni di Benedetto XVI rischia di essere del tutto parziale. Egli, come ha del resto sempre fatto, anche se in modi per molti non sempre opportuni, ci richiama adesso al primato di Dio e al fatto che è il Signore la vera guida della chiesa.
Che cosa accadrà adesso? Un nuovo Papa, evidentemente. La chiesa è, in questo momento davvero storico, posta di fronte a una scelta difficile, ma allo stesso tempo ricca di prospettive. Può chiudersi nell’egoismo, nei più meschini calcoli umani (il “toto-papa” di queste ore), nella paura che troppo a lungo ci ha segnato e che ci ha impedito di trarre tutte le conseguenze del Concilio Vaticano II. La chiesa può adesso aprirsi, invece, a scelte coraggiose che la conducano su strade sinora mai percorse, ancor più compagna degli uomini del nostro tempo; la chiesa ne ha bisogno, e il mondo di oggi ha ancor più bisogno di questa chiesa. La decisione di Benedetto XVI apre anche le porte – e io credo coscientemente, ed è questo un altro merito di cui la storia gli darà atto – a questa possibilità: il fiorire di una nuova primavera, di una nuova speranza per la chiesa.
Che fare, adesso? A noi, fedeli della chiesa cattolica, spetta ora il compito di coltivare questa speranza e quindi, prima di tutto, di pregare per la nostra chiesa; non in modo formale, ma sostanziale: “sia fatta la Tua volontà”. Pregare, per ritrovare quell’essenziale che non è il nostro fare, ma il fare di Dio, al quale lo stesso Benedetto con il suo gesto ci richiama (v. ancora la conclusione del suo messaggio). E spetta poi ancora a noi il compito di vivere con impegno anche maggiore la vocazione che nella chiesa ci è stata affidata, non importa quale essa sia. E ancora, ci è affidata in quest’ora la missione di riconoscere che, se siamo nella chiesa e vogliamo rimanerci, è perché crediamo davvero che è il Signore che la guida, al di là dei nostri limiti, nel corso di una storia sempre più complessa e sempre più difficile da comprendere, ma pur sempre la storia di un’umanità comune da amare e da salvare.
Il Papa si dimette…
di don Luca Mazzinghi
Il Papa si dimette! Questa notizia ha suscitato nei cristiani una reazione di meraviglia e persino di sconcerto; nessuno se lo aspettava, neppure i cardinali più vicini a lui. Come è possibile? E’ la seconda volta che accade nella storia, ma il caso di Celestino V è stato ben diverso; costretto a dimettersi in circostanze mai del tutto chiarite, quel Celestino V che poi è stato canonizzato e riposa ora a L’Aquila.
A questo riguardo, un gesto profetico, passato inosservato: durante la sua recente visita in quella città, Benedetto XVI ha lasciato il suo “pallio” (il nastro di lana bianca, segno del potere arcivescovile, che ogni arcivescovo e il papa stesso portano al collo) sulla tomba di Celestino; un gesto che solo ora diventa chiaro. Si diceva che Benedetto XVI è incapace di grandi gesti come Giovanni Paolo II; con questo suo gesto storico egli ha smentito tutti.
Che aggiungere ancora allo scarno messaggio di Benedetto XVI e al diluvio di commenti che circolano in questi momenti convulsi? E tuttavia, come parroco, e dunque anch’io come pastore della chiesa, sento il dovere di dire una parola ai miei parrocchiani, senza alcuna pretesa e con un certo ritegno, alla luce del Vangelo, di fronte a una situazione che si presenta unica in duemila anni di storia – e la chiesa ne ha viste tante! – e che può suscitare riflessioni contrastanti, superficiali e persino malevole e fuorvianti, sia dentro che fuori la chiesa.
Il pontificato di Benedetto XVI non è stato facile e non è questo il momento per un giudizio; egli stesso si è accorto di non essere capito e seguito, ha sofferto per aver trovato nella chiesa resistenze inattese e problemi gravissimi e lo ha in diverse occasioni pubblicamente ammesso, non senza sofferenza (si ricordi la mancata riconciliazione con i tradizionalisti, che hanno rifiutato la mano che lui voleva loro tendere, non senza qualche ambiguità, il vero e proprio bubbone della pedofilia e la lettera ai cattolici irlandesi di fronte al tradimento di un intero episcopato che aveva coperto decenni di abusi, veri e propri atti di spionaggio compiuti nel cuore stesso del Vaticano, il caso dello IOR…).
I posteri diranno se questi e molti altri problemi irrisolti sono la vera causa delle sue dimissioni; ma di là di ciò che ognuno pensa della persona di papa Benedetto, il gesto realmente straordinario che egli ha compiuto e le parole scarne e chiare con le quali lo ha accompagnato (vedi sopra), spazzano via in sol colpo ogni tentativo di giudizio su di lui, e ci lasciano, io credo, almeno tre lezioni di capitale importanza; soprattutto ci costringono – costringono in realtà l’intera chiesa cattolica – a una radicale riflessione, alla luce del Vangelo.
Prima di tutto, papa Benedetto ci lascia una lezione di onestà, di coerenza e di responsabilità politiche – nel senso più nobile di questo termine; chi ha ricevuto un incarico – perché anche per il Papa di questo si tratta – deve sempre chiedersi se è in grado di svolgerlo al meglio; ne è infatti responsabile, e l’onestà consiste nel riconoscere di non essere più in grado di sostenere l’incarico ricevuto. Papa Benedetto parla di forze fisiche e interiori che in lui sono diminuite; si presenta a noi nella sua umanità, e con estrema semplicità. E’ poi assolutamente coerente con quanto lui stesso aveva già dichiarato nel 2010, circa la necessità che un uomo di chiesa – cominciando proprio dal Papa – si dimetta dal suo incarico quando le forze non consentono più di svolgerlo. Non si tratta di restare in trincea a tutti i costi come fossimo soldati che difendono la loro posizione; men che meno si tratta di aggrapparsi a vita alla propria poltrona; si tratta piuttosto di servire, appunto con responsabilità, onestà e coerenza; è questa la prima lezione di papa Benedetto, e che lezione!
E all’interno di questa lezione ne scopriamo una seconda: una lezione di umiltà, ma insieme di coraggio e di grande libertà interiore. Ci vuole tanta umiltà, infatti, per riconoscere di non essere più all’altezza di un incarico così grande; e tanto, tanto coraggio, che nasce da una profonda libertà. Tutto questo cambierà radicalmente il modo in cui la chiesa cattolica concepisce il papato; non è importante la persona del Papa in sé, ma il ruolo che la persona ricopre; il Papa è un essere umano come tutti noi («àlzati, anche io sono un uomo!», dice Pietro al centurione Cornelio: Atti 10,26), con la sua forza e la sua debolezza; è un uomo capace di chiedere perdono per i propri difetti (v. ancora sopra). Il coraggio dell’umiltà dimostrata da Benedetto XVI permette a Dio di parlare con più forza alla sua chiesa. Il Papa, da solo, non è la chiesa, e Benedetto ce lo sta dimostrando coi fatti.
Ma c’è una terza e più importante lezione da trarre, ed è una lezione di fede; per noi cattolici, la chiesa non è un club di amici; non è un partito politico; non è un’associazione di volontariato; non è un luogo ove si celebrano dei bei riti religiosi che ci fanno sentire a posto con noi stessi, prima che con Dio, e neppure è un gruppo settario di persone che si ritengono perfette e migliori degli altri. La chiesa è piuttosto una comunità di uomini e donne di pari dignità, nate da un semplice gesto che noi chiamiamo “battesimo”, un popolo convocato da Dio stesso perché sia nel mondo “sacramento”, cioè segno e strumento della sua presenza tra gli uomini; la chiesa è da un lato opera umana, certo, ma più profondamente è opera dello Spirito, e dallo Spirito di Dio la chiesa è guidata. Se da un lato sono le persone concrete, con tutto il loro carico di umanità, a fare la chiesa, la chiesa esiste perché esiste Dio. E nella misura in cui i membri della chiesa ascoltano e seguono il Signore, la chiesa cresce e si rinnova. Credo che senza questa visione di fede, ogni giudizio sulle dimissioni di Benedetto XVI rischia di essere del tutto parziale. Egli, come ha del resto sempre fatto, anche se in modi per molti non sempre opportuni, ci richiama adesso al primato di Dio e al fatto che è il Signore la vera guida della chiesa.
Che cosa accadrà adesso? Un nuovo Papa, evidentemente. La chiesa è, in questo momento davvero storico, posta di fronte a una scelta difficile, ma allo stesso tempo ricca di prospettive. Può chiudersi nell’egoismo, nei più meschini calcoli umani (il “toto-papa” di queste ore), nella paura che troppo a lungo ci ha segnato e che ci ha impedito di trarre tutte le conseguenze del Concilio Vaticano II. La chiesa può adesso aprirsi, invece, a scelte coraggiose che la conducano su strade sinora mai percorse, ancor più compagna degli uomini del nostro tempo; la chiesa ne ha bisogno, e il mondo di oggi ha ancor più bisogno di questa chiesa. La decisione di Benedetto XVI apre anche le porte – e io credo coscientemente, ed è questo un altro merito di cui la storia gli darà atto – a questa possibilità: il fiorire di una nuova primavera, di una nuova speranza per la chiesa.
Che fare, adesso? A noi, fedeli della chiesa cattolica, spetta ora il compito di coltivare questa speranza e quindi, prima di tutto, di pregare per la nostra chiesa; non in modo formale, ma sostanziale: “sia fatta la Tua volontà”. Pregare, per ritrovare quell’essenziale che non è il nostro fare, ma il fare di Dio, al quale lo stesso Benedetto con il suo gesto ci richiama (v. ancora la conclusione del suo messaggio). E spetta poi ancora a noi il compito di vivere con impegno anche maggiore la vocazione che nella chiesa ci è stata affidata, non importa quale essa sia. E ancora, ci è affidata in quest’ora la missione di riconoscere che, se siamo nella chiesa e vogliamo rimanerci, è perché crediamo davvero che è il Signore che la guida, al di là dei nostri limiti, nel corso di una storia sempre più complessa e sempre più difficile da comprendere, ma pur sempre la storia di un’umanità comune da amare e da salvare.