Enzo Bianchi
La Stampa, 3 marzo 2013
Prima assemblea dei cardinali senza papa: la cattedra del successore di Pietro è vacante. Abbiamo visto e ascoltato Benedetto XVI mentre deponeva il peso del ministero di presidenza e di comunione della chiesa cattolica dopo otto anni, indubbiamente tribolati e segnati da fatti, eventi, situazioni che hanno affaticato chi aveva il compito di guidare la barca della chiesa.
Ormai Benedetto XVI non è più papa, né sommo pontefice, né servo dei servi di Dio, né vescovo di Roma: è soltanto il vescovo emerito di Roma, come recita il linguaggio ecclesiastico, perché il papa è uno e uno solo e lo è dall’accettazione dell’elezione fino alla morte o alla sua rinuncia. La situazione inedita che si è presentata alla chiesa con la rinuncia aprirà a confusioni di linguaggio: si daranno al vescovo Joseph Ratzinger – che è vescovo della chiesa di Dio fino alla morte – attributi e titoli non adeguati o addirittura svianti. Colui che fu papa ora è, come ha detto lui stesso, un “pellegrino” nel cammino verso il regno, un pellegrino tra altri fratelli e non più al di sopra di loro, un uomo, cristiano e vescovo cui va l’affetto fedele e la gratitudine per la sua testimonianza di decentralizzazione di se stesso rispetto a Cristo, unico Signore. Ma non si proiettano più su di lui le attese che devono andare a colui che sarà il nuovo vescovo di Roma.
Il cardinale Sodano, nel salutare Benedetto XVI prima della sua partenza dal Vaticano, con forza e intelligenza spirituale ha evocato al papa e ai cardinali l’orizzonte che in questi momenti deve risplendere ed essere da tutti fissato, restando ciascuno saldo e cercando di vedere l’invisibile. Il cardinale decano ha detto con voce forte: “Continuerà quella successione apostolica che il Signore ha promesso alla sua chiesa, fino a quando si udirà sulla terra la voce dell’angelo dell’Apocalisse che dirà: ‘Ormai il tempo non c’è più… è compiuto il mistero di Dio!’ Terminerà la storia della chiesa insieme a quella del mondo con l’avvento di cieli nuovi e terra nuova!”. Questo il traguardo che purtroppo molti cristiani dimenticano, non avendo più nei loro cuori e nei loro pensieri l’orizzonte escatologico e non attendendo fino ad anelarlo il ritorno del Signore.
Abbiamo amato Benedetto XVI e tuttavia anche lui è passato e un altro prenderà il suo posto, un altro cui egli stesso, prima ancora di conoscerlo, ha già promesso “reverenza e obbedienza”, come ogni fedele cattolico. Ma prima di ogni programma pontificale, prima di ogni azione di riforma occorrerà riportare comunione nella chiesa cattolica dove, come ha detto Benedetto XVI, regnano rivalità e divisioni, delegittimazioni e calunnie. Nei mass media si prende spunto da scandali finanziari e a sfondo sessuale per favoleggiare e tratteggiare una situazione da corte imperiale decadente e corrotta. Non è così, in verità! È vero piuttosto che in tutta la chiesa, nel corpo sparso nel mondo – accanto a fermenti e realtà evangeliche magari nascoste come minoranze significative ed efficaci – ci sono conflitti, mancanza di buona fede, posizioni virulente e attacchi violenti e ingiusti.
In una splendida lettera, scritta con sentimenti e urgenze di comunione e indirizzata ai lefebvriani, monsignor Augustine Di Noia ha chiesto di riconoscere la bontà che è nell’altro con cui si è in disaccordo, ha invocato un’autentica dolcezza per favorire la comprensione, la pace e la pazienza che ci porta alla comunione con carità. Ha chiesto anche che nessuno usurpi la missione del papa, arrogandosi il diritto di correggere pubblicamente gli altri, mettendosi al posto del vescovo di Roma o sequestrandolo per averlo contro i propri avversari. È una lettera che potrebbe essere indirizzata a tutti i cristiani.
Più che mai è necessario ricordare quello che Benedetto XVI ci ha fatto conoscere con i suoi ultimi gesti: un clima penitenziale, sobrio, senza tentazioni di trionfalismo, una semplicità degli eventi che non lascia spazio ad autocelebrazioni né ad arroganti esposizioni. Gesti umanissimi, in cui un pastore, stanco e anziano, lascia posto al nuovo pastore per il bene del gregge. D’ora in poi il vescovo emerito di Roma pregherà come un monaco, nella convinzione che la preghiera è una componente della storia e che esserne capaci significa lottare, lavorare, decidere con Dio.
Per questo i cardinali convenuti a Roma devono ora semplicemente ascoltarsi l’un l’altro con il rispetto che il fratello deve al fratello, devono ascoltare il Signore e i segni dei tempi che germinano nell’oggi del mondo, devono rifuggire tattiche e strategie e, soprattutto, non devono mai mentire. Secondo il mio semplice, periferico parere, la crisi che la chiesa attraversa – e che attraversa soprattutto il centro romano – è dovuta alla menzogna, non ad altri più scandalosi problemi. Occorre parresia, franchezza, lealtà l’uno verso l’altro; occorre dire ciò che si pensa in tutta sincerità, altrimenti ogni parola è inquinata e dove c’è menzogna trovano il loro habitat il ricatto e la paura.
Se c’è una battaglia urgente, è quella contro la menzogna perché se questa è presente nel comunicare non ci si fida più dell’altro, non si ha più fede nell’altro. E come potremmo aver fede in Dio che non vediamo se non siamo capaci di aver fiducia nel fratello che vediamo? Domani, con le congregazioni generali inizino gli esercizi di sincerità.
Esercizi di sincerità…
Enzo Bianchi
La Stampa, 3 marzo 2013
Prima assemblea dei cardinali senza papa: la cattedra del successore di Pietro è vacante. Abbiamo visto e ascoltato Benedetto XVI mentre deponeva il peso del ministero di presidenza e di comunione della chiesa cattolica dopo otto anni, indubbiamente tribolati e segnati da fatti, eventi, situazioni che hanno affaticato chi aveva il compito di guidare la barca della chiesa.
Ormai Benedetto XVI non è più papa, né sommo pontefice, né servo dei servi di Dio, né vescovo di Roma: è soltanto il vescovo emerito di Roma, come recita il linguaggio ecclesiastico, perché il papa è uno e uno solo e lo è dall’accettazione dell’elezione fino alla morte o alla sua rinuncia. La situazione inedita che si è presentata alla chiesa con la rinuncia aprirà a confusioni di linguaggio: si daranno al vescovo Joseph Ratzinger – che è vescovo della chiesa di Dio fino alla morte – attributi e titoli non adeguati o addirittura svianti. Colui che fu papa ora è, come ha detto lui stesso, un “pellegrino” nel cammino verso il regno, un pellegrino tra altri fratelli e non più al di sopra di loro, un uomo, cristiano e vescovo cui va l’affetto fedele e la gratitudine per la sua testimonianza di decentralizzazione di se stesso rispetto a Cristo, unico Signore. Ma non si proiettano più su di lui le attese che devono andare a colui che sarà il nuovo vescovo di Roma.
Il cardinale Sodano, nel salutare Benedetto XVI prima della sua partenza dal Vaticano, con forza e intelligenza spirituale ha evocato al papa e ai cardinali l’orizzonte che in questi momenti deve risplendere ed essere da tutti fissato, restando ciascuno saldo e cercando di vedere l’invisibile. Il cardinale decano ha detto con voce forte: “Continuerà quella successione apostolica che il Signore ha promesso alla sua chiesa, fino a quando si udirà sulla terra la voce dell’angelo dell’Apocalisse che dirà: ‘Ormai il tempo non c’è più… è compiuto il mistero di Dio!’ Terminerà la storia della chiesa insieme a quella del mondo con l’avvento di cieli nuovi e terra nuova!”. Questo il traguardo che purtroppo molti cristiani dimenticano, non avendo più nei loro cuori e nei loro pensieri l’orizzonte escatologico e non attendendo fino ad anelarlo il ritorno del Signore.
Abbiamo amato Benedetto XVI e tuttavia anche lui è passato e un altro prenderà il suo posto, un altro cui egli stesso, prima ancora di conoscerlo, ha già promesso “reverenza e obbedienza”, come ogni fedele cattolico. Ma prima di ogni programma pontificale, prima di ogni azione di riforma occorrerà riportare comunione nella chiesa cattolica dove, come ha detto Benedetto XVI, regnano rivalità e divisioni, delegittimazioni e calunnie. Nei mass media si prende spunto da scandali finanziari e a sfondo sessuale per favoleggiare e tratteggiare una situazione da corte imperiale decadente e corrotta. Non è così, in verità! È vero piuttosto che in tutta la chiesa, nel corpo sparso nel mondo – accanto a fermenti e realtà evangeliche magari nascoste come minoranze significative ed efficaci – ci sono conflitti, mancanza di buona fede, posizioni virulente e attacchi violenti e ingiusti.
In una splendida lettera, scritta con sentimenti e urgenze di comunione e indirizzata ai lefebvriani, monsignor Augustine Di Noia ha chiesto di riconoscere la bontà che è nell’altro con cui si è in disaccordo, ha invocato un’autentica dolcezza per favorire la comprensione, la pace e la pazienza che ci porta alla comunione con carità. Ha chiesto anche che nessuno usurpi la missione del papa, arrogandosi il diritto di correggere pubblicamente gli altri, mettendosi al posto del vescovo di Roma o sequestrandolo per averlo contro i propri avversari. È una lettera che potrebbe essere indirizzata a tutti i cristiani.
Più che mai è necessario ricordare quello che Benedetto XVI ci ha fatto conoscere con i suoi ultimi gesti: un clima penitenziale, sobrio, senza tentazioni di trionfalismo, una semplicità degli eventi che non lascia spazio ad autocelebrazioni né ad arroganti esposizioni. Gesti umanissimi, in cui un pastore, stanco e anziano, lascia posto al nuovo pastore per il bene del gregge. D’ora in poi il vescovo emerito di Roma pregherà come un monaco, nella convinzione che la preghiera è una componente della storia e che esserne capaci significa lottare, lavorare, decidere con Dio.
Per questo i cardinali convenuti a Roma devono ora semplicemente ascoltarsi l’un l’altro con il rispetto che il fratello deve al fratello, devono ascoltare il Signore e i segni dei tempi che germinano nell’oggi del mondo, devono rifuggire tattiche e strategie e, soprattutto, non devono mai mentire. Secondo il mio semplice, periferico parere, la crisi che la chiesa attraversa – e che attraversa soprattutto il centro romano – è dovuta alla menzogna, non ad altri più scandalosi problemi. Occorre parresia, franchezza, lealtà l’uno verso l’altro; occorre dire ciò che si pensa in tutta sincerità, altrimenti ogni parola è inquinata e dove c’è menzogna trovano il loro habitat il ricatto e la paura.
Se c’è una battaglia urgente, è quella contro la menzogna perché se questa è presente nel comunicare non ci si fida più dell’altro, non si ha più fede nell’altro. E come potremmo aver fede in Dio che non vediamo se non siamo capaci di aver fiducia nel fratello che vediamo? Domani, con le congregazioni generali inizino gli esercizi di sincerità.